Siti Walter - 2000 - Il canto del diavolo by Siti Walter

Siti Walter - 2000 - Il canto del diavolo by Siti Walter

autore:Siti Walter [Siti Walter]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
Tags: Fiction, General
ISBN: 9788858644539
Google: 6NadeLxzubYC
Amazon: B00CBG8IZK
editore: Bur
pubblicato: 2013-04-09T22:00:00+00:00


3.

Gli equivoci e i disguidi m’hanno sempre portato fortuna: avevo deciso di riservarmi la visita della Grande Moschea per il venerdì, perché volevo studiarla nel pieno delle sue funzioni (anche gli infedeli ci possono entrare) – ma non è completata ancora e per adesso non sono consentite che escursioni guidate, tutti i giorni tranne il venerdì. Eccomi solo infatti, ed è solo anche il soldatino che m’impedisce l’accesso, dispiaciuto ma fermo. Sto sul sagrato di destra, da qui si sprofonda la fuga del portico laterale: colonne ottagonali col fusto intarsiato di pietredure che disegnano rami e foglie, e i capitelli dorati a forma di palma. Nel cortile, alcune torri traforate sono imbottite d’altoparlanti, megafoni e fili che suppongo saranno mascherati da pannelli. Arriva un pullman di giapponesi che impegnano l’unico soldatino in una lunga discussione, il che mi permette di scivolare lungo la parete nord, diciamo sul retro, e di tentare alcune porte; le prime due resistono, la terza forzando un poco si apre. Dalla fiacca che aveva la sentinella, non credo si metterà a cercarmi: l’approccio al monumento non sarà il più spettacolare, ma potrò godermelo senza il fastidio della folla.

Quella dove sono entrato è una stanzetta rettangolare, probabilmente un vestiario, decorata ad arabeschi; c’è una specie di doppio soffitto, per cui i ghirigori ritagliati nel primo ricevono dal secondo una luce blu. Una scala mobile conduce in basso, al locale per le abluzioni che però è sbarrato. Entro in una navata molto più grande, il pavimento a mosaico sembra un tappeto Aubusson, tutto rose e iris stilizzati; i lampadari hanno petali e corolle – quello floreale è evidentemente il leitmotiv di tutta la moschea. Pochi operai stanno sistemando uno stipite, temo che mi caccino ma chiacchierano tra loro e non mi si filano proprio; mi sbrigo a incunearmi per una strettoia ricurva fino al grande spazio centrale – il fiato si arresta per un attimo: qui i lampadari saranno lunghi almeno otto metri, a grappoli di sfere rosse gialle e verdi; la volta è immensa, ed eccolo il vero tappeto di cui ho sentito parlare, il più grande del mondo, cinquemilaseicento metri quadri di tappeto persiano di seta, tessuto da non so quante donne per non so quanto tempo – un’immagine del paradiso a base azzurra su cui non ho quasi il coraggio di camminare. A perdita d’occhio, i raggi di sole filtrano dall’esterno attraverso i finestroni d’alabastro.

Un silenzio che fa paura, tranne il martellare timido che proviene dalla facciata; esco per una porta a sinistra (un cartello con freccia indica “vip entrance”), percorro l’ultimo segmento del colonnato e sono al piazzale d’ingresso. Questa è la parte più incompleta: la vasca rettangolare è ancora priva d’acqua, manca una fetta dei mosaici (tutti di una ditta italiana) e c’è solo lo scheletro del padiglione per i pellegrini. Da qui, il colpo d’occhio è formidabile: una quarantina di cupole, tra piccole e grandi, bianche come le uova dell’uccello Rok, su un cielo così intenso che formicola di pagliuzze viola – prospettive continuamente mutevoli, brani di curva tra gli archi già pronti per il fotografo.



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